Compito precipuo di ogni cristiano, da Papa Francesco al sottoscritto, è di annunciare il Vangelo, possibilmente e principalmente con le proprie opere. Personalmente, ho smesso da un pezzo di scandalizzarmi della continua, estenuante, feroce, dicotomia tra ciò che faticosamente tento di far trapelare del messaggio cristiano ricevuto (e restituirne positivamente almeno una porzione a chi mi attornia) e quello che invece traspare dalle mie azioni quotidiane. Distogliendo provvidenzialmente lo sguardo dalla mia condotta, so per certo, comunque, di poggiarmi su qualcosina in più che non una striminzita speranza di chissà quale paradiso ultraterreno, considerate soprattutto le mie corpose esperienze di vita passata (e presente) dove il Signore mi si manifestò concretamente, in carne ed ossa, all’inizio del nostro ritrovato rapporto (Padre/figlio), in una difficoltà seria della mia vita familiare, complice un’indicibile e continua sofferenza fisica della mia secondogenita, cui si accompagnarono sempre, come buon carico, difficoltà di ogni altro tipo. Ed è nell’incontrarsi fisicamente con Qualcuno, Gesù il Cristo, il Messia (nel momento in cui sei diventato un inguardabile obbrobrio umano e da tutti ovviamente evitato), che si china amorevolmente sulla tua piagata persona, la differenza sostanziale con tutte le altre religioni. Quanto appena descritto, in pratica, per me avvenne, come sopra anticipavo, con la dolorosa storia di mia figlia Lucrezia, alias Cocuzza, nel 1985, alla sua nascita, Calvario protrattosi fino all’epilogo terreno nel 2013, con l’avvenuto decesso per polmonite. E non sto vaneggiando di chissà quali visioni mistiche ricevute, perchè forse titolare, io, di una corsia preferenziale con il Padreterno; sto raccontando che, schiacciato da apparentemente insuperabili difficoltà, scoprii una Chiesa misericordiosa, nella figura di don Claudio Regni, parroco di San Sisto, sobborgo di Perugia, che mi tese una mano salvifica per trarmi dalla mia fossa della morte. Tutto qui, niente di che, verrebbe da dire, concludendo; ma non è semplicisticamente proprio così. Con tutto l’amore possibile ed immaginabile nei confronti di ebrei e musulmani, non è stato, infatti, un maestro del Talmud a giovarmi nè, tanto meno, un dotto imam, ma un soldato semplice della Chiesa Cattolica, il quale non ha fatto altro che annunciarmi il Cristo, vero Dio e vero uomo, morto e risorto per la mia salvezza e quella di tutto il genere umano, con la stoltezza della predicazione e la testimonianza tangibile della sua vita. Un martire (che vuol dire testimone) dell’amore di quel Dio/uomo, Gesù il Cristo (Unto del Signore), il Messia, che per i rabbini è un millantatore e bestemmiatore, nonchè figlio di una poca di buono, e per gli islamici soltanto un profeta anticipatore del loro Maometto; per entrambi, insomma, tutto ciò che si voglia e si possa immaginare ma meno che il Figlio di Dio e precursore dello Spirito Santo, in quanto determinati negatori, gli ebrei e i maomettani, della Santa Trinità, fra l’altro. Ad autorevole supporto di quanto ogni fedele cristiano cattolico debba mettere in pratica, la Dichiarazione su “Le relazioni della chiesa con le religioni non cristiane”, o “Nostra aetate” che dir si voglia, del 28 0ttobre 1965, uno dei documenti del Concilio Vaticano II, al 2° paragrafo, lettera d, a proposito dei doveri della Chiesa, e a prescindere dalla apprezzabile e condivisibile apertura manifestata dai padri conciliari nei confronti di ogni altra religione, testualmente e solennemente recita :
” Essa (la Chiesa, n.d.r.) però annuncia, ed è tenuta ad annunziare incessantemente, il Cristo che è “via, verità e vita” (Giov. 14,6) in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato a Se stesso tutte le cose(4).” Non esiste, allora, altra strada percorribile per un osservante qualunque come me nè per Papa Francesco, la nostra indiscutibile guida, alla luce di quanto da Essa dichiarato. O si annuncia sic et simpliciter il Verbo di Dio per la conversione di tutti i popoli, o, diversamente, si sta filosofeggiando di qualcos’altro. Se, per di più, dialogo interreligioso sta esclusivamente per massimo rispetto delle altrui convinzioni, pieno accordo con la Chiesa, cui sono totalmente obbediente, se, al contrario, oggi, a differenza che nel 1965, intende significare che tutte le religioni (e qui ribadisco che la nostra fede è un incontro reale con una Persona concreta e non una raccolta di elucubrazioni o una inflessibile osservanza di precetti) vadano poste sullo stesso piano e che il Dio degli altri è lo stesso Padre nostro, beh, credo che lo Spirito Santo sia già all’opera per indire un nuovo Concilio e rapidamente trovare un successore a questo seppur tanto amato Pontefice.
Leandro Raggiotti