Ieri, domenica 6 marzo, ho partecipato all’incontro organizzato dal Comitato Regionale A.R.C.I. sulla “Gestione degli ungulati in Umbria: Problemi, prospettive ed obiettivi”, tenutosi nella Sala Quaranta del municipio di Norcia e gestito in maniera egregia dall’appassionato cacciatore e piacevolmente competente presidente regionale di detta associazione venatoria, Emanuele Bennati. Il tema (e target) di fondo è quello di trasformare una problematicità a volte fortemente impattante sulle attività umane, come quella generata dalla crescita esponenziale degli ungulati, in particolare per ciò che concerne le specie cinghiale e capriolo, in una non indifferente risorsa economica per quasi tutti gli attori protagonisti dell’annosa questione e cioè allevatori, agricoltori, ambientalisti, anticaccia e cacciatori. Fra i relatori, Bennati ha dato ampia dimostrazione di aver correttamente recepito l’ultimo appello cui dovranno rispondere: presente! tutti i nembrotti che abbiano veramente a cuore le sorti dell’attività venatoria, pena una fine ingloriosa del nostro mondo antico. Superato e morto per i nostri irriducibili detrattori, ma, a dispetto loro, estremamente attuale, perchè, e qui mi ripeto all’infinito, vegani, vegetariani e animalisti potranno impegnare ogni loro residua energia per denigrarci e tentare di annientarci, ma la natura umana rimarrà eternamente quella del cacciatore/cercatore. Si mettano pure l’anima in pace, allora. Però, ed al di là di verità inconfutabili a prova dei più abili mistificatori, occorre gridare forte e chiaro che noi difensori della caccia siamo pervenuti all’ultima spiaggia. O lo capiamo in fretta o miseramente periremo inoltre per un inarrestabile flusso decrescente imputabile a cause anagrafiche, economiche, mancanza cronica di selvaggina nobile stanziale dovuta all’assenza totale di ogni sorta di programmazione faunistica da parte degli Enti incaricati e perchè siamo pure diventati oggetto di vessazioni non trascurabili da parte delle questure, in fase di rinnovo delle Licenze di porto di fucile per uso di caccia.
Anche lo zoologo Bernardino Ragni, altro relatore, poi, ha ben appreso come esporre vivacemente il suo vasto materiale scientifico ad una platea di persone, di cui alcune con un’esperienza empirica invidiabile, senza correre il rischio di sbadigli o appisolamenti, ed in effetti quanto riportatoci è stato di estremo interesse.
Insomma, tutto bene, se non per un inquieto spirito che pesantemente aleggiava sulla Sala Quaranta, un vero e proprio Convitato di pietra, l’unico Re dei nostri boschi, sua Maestà: il lupo!, l’oggetto tuttavia misterioso e terrifico degli incubi delle menti meno attrezzate e colpevole dei più orrendi misfatti perpetrati a danno dell’umanità, a detta dei suoi troppi nemici mortali. Come se noi cristiani fossimo degli incolpevoli agnellini circa la situazione che si è venuta a creare nell’ultimo ventennio per la vertiginosa crescita numerica di questo briccone.
sulla rivista venatoria specializzata “Cacciare a palla”, compariva un mio articolo “Non è tutta colpa del lupo”
Favolette da propinare a dei bambini ma non senza meno ad una platea di consapevoli adulti, tentativo che, a onor del vero, non è stato minimamente messo in atto dagli oratori da me ascoltati.
In materia, a giugno 2015, sulla rivista venatoria specializzata “Cacciare a palla”, compariva un mio articolo “Non è tutta colpa del lupo”, dove argomentavo sulle ragioni per cui non si debba gettare la croce addosso a questo meraviglioso predatore ed invitavo tutti i seguaci di Diana, con il prurito al dito sul grilletto per far fuoco sul cattivone della storia, a darsi una calmata e a lasciar campo a chi se ne intenda veramente di grandi predatori nazionali, come il dottor Franco Perco, direttore del Parco nazionale dei Sibillini, cacciatore e scienziato naturalista. A chi non ha mai speculato, quindi, nè in un senso nè nell’altro. Da cicchettare, invece, chi ha sottovalutato imprevidentemente l’espansione del lupo, incamerando però sostanziosi contibuti statali per condurvi infinite ricerche, che, molto sinceramente, non so quanto avranno contribuito al progresso scientifico universale. In sostanza, se noi cacciatori non indosseremo l’abito mentale di una nuova figura che riassuma, sì, il buono che c’è nel passato, ma che non anteponga innanzitutto una preparazione scientifica di primo piano in qualsivoglia confronto ci si dovesse presentare, capendo che non tutto si può risolvere con lo schioppo in mano, fucilando a dritta e a manca, ma che occorre studiare e programmare ogni nostra azione, anche la più apparentemente irrilevante, beh, non solo seguiteremo a fornire velenosissime frecce all’arco degli anticaccia, ma ci scaveremo ancor più profondamente la fossa con le nostre stesse mani, come, putroppo, d’abitudine.
Per concludere, un: “In bocca al lupo!” a chi si prodiga per illuminare le menti del nostro mondo venatorio, cui non si risponda oltre però con un oramai indecente: “Crepi (il lupo)!”, bensì un perentorio: “Viva il lupo!”. Credetemi, se scomparirà il lupo, vera e propria cartina di tornasole vivente di un accettabile ambiente naturale (e la sua presenza sta a significare che, pur nella sua quotidiana ed incessante devastazione da parte di noi stolti uomini, c’è ancora posto per un mondo selvaggio e salubre), beh, allora, potremmo anche iniziare a far le valigie e salutare questa tanto inquinata (spiritualmente, moralmente, culturalmente e non solo fisicamente) terra.
Leandro Raggiotti