Anni 1971/’72. Stavo terminando il liceo. D’estate, la scalinata del Duomo di Perugia si riempiva di giovani d’ogni provenienza in cerca di avventure sentimentali e/o di conoscenze in senso lato. Un imperativo categorico dominava: se vuoi crescere da ogni punto di vista, devi aprirti all’altro, a tutti ed anche allo straniero, quindi, che ti arricchisce a prescindere. Almeno avrebbe dovuto.Tanti arabi, fra cui diversi palestinesi, miei coetanei, Fahed (un “monello”, mio pari), suo cugino Alì (il pio, che non beveva, non fumava, non…), un loro parente(?), Mahjid (il serioso, che discuteva continuamente della “Causa palestinese” e mi raccontava dell’O.L.P. di Arafat) spiccavano sulle altre etnie circolanti nella mia città per “vivacità”.Affamato di sapere, ascoltavo con interesse i racconti sulle “nefandezze” perpetrate da Israele nei loro confronti, presentandosi, essi, come “compagni” e non in qualità di seguaci di Maometto. E tuttavia, qualcosa non mi quadrava.Fahed, ad esempio, mi narrava di suo padre, 71 anni, allora, quando la seconda moglie attendeva il suo undicesimo figlio, dei 21 in totale del vecchio (10 erano della prima sposa), del fratello maggiore, di 45 anni, un fedayn, e che tutti avevano portato in dote un cospicuo assegno familiare a mamma e papà (elargitogli dal Governo di Tel Aviv) e che, però, l’intera squadra parentale stava, comunque, con le fauci spalancate (in guerra), pronta ad azzannare la mano che li sfamava. Che strano!, una dittatura perversa, quella israelitica, che corrispondeva un mucchio di soldi alle sue vittime!? Che modo bizzarro di intendere i ruoli di oppresso e carnefice!?E fu su un bosco di eucalipti incendiato per mano dei loro confratelli, che alla fine s’inabissò la nostra “amicizia”. Sì, perché ne nacque un furioso dibattito, in quanto io sostenevo che le piante, l’ambiente, non c’entravano alcunché con le persone. E loro, di rimando, alla resa dei conti in forma esplicita, ammisero che l’obiettivo del popolo palestinese era la distruzione totale di Israele, boschi inclusi, ogni opera dei cani, porci e scimmie ebrei. Altro che due popoli, due Stati! Conclusi che era proprio vero, per giunta, ripetendo una massima non mia, che: “gli arabi non sono figli del deserto, ne sono i padri!” Ah, dimenticavo. Per Alì, soprattutto, mia madre era un po’ anche la sua, ripeteva come un disco rotto, (venivano quasi tutte le sere d’inverno in casa nostra ad assistere a programmi televisivi e nonostante ciò mai mi vollero fornire il loro indirizzo) e da ben 44 anni mammina mia attende speranzosa un bigliettino di saluti, se non di ringraziamento, prima di salire in paradiso!C’erano pure giordani sulla gradinata del Duomo, compatrioti dei beduini, le truppe scelte di re Hussein, gli autori dell’orribile strage del 16 settembre 1970 perpetrata ad Amman, dove vennero fatti a pezzi circa 10.000 palestinesi in un sol giorno. Dalle ceneri di quel tentativo di genocidio nacque l’organizzazione terroristica Settembre nero. Ma su questo delitto contro l’umanità e contro il Cielo e della conseguente invasione del Libano e del disfacimento di quella nazione per mano di Arafat e dei suoi accoliti silenzio tombale da parte della fratellanza araba. Odio feroce soltanto contro Israele.Inoltre, bene attenti, perchè quei signori non sono molto da abbracci fraterni e baci sulle guance, come usiamo noi. Potrebbero gravemente equivocare. Nei Paesi arabi, infatti, la moglie si compra e se non hai il valsente per accaparrartela, ti si prospetta una vita assai grama dal punto di vista eterosessuale, oppure… Insomma, amici, sì, ma a distanza di sicurezza.E poi scatenati egiziani, perennemente imbronciati libici e divertenti tunisini, come Hassin, un cavallo pazzo, intelligente e simpatico. E Leila, l’esotica, maghrebina Leila, che accolse il mio invito in discoteca, accompagnati da un bonario somalo, Mahi Socorò, nel suo Volkswagen verde, titolare di un negozio di souvenir africani in pieno centro cittadino. Ma ancora somali di tutt’altra pasta, tipo quello che alla mia mano tesa per un saluto cordiale, un integralista, mi rispose, con una smorfia d’odio, che per lui “gli italiani sono buoni soltanto se morti (ammazzati)!”. Quanto fui sgarbato, Signore, lì all’altezza dell’ingresso principale della cattedrale in piazza Danti! E poi Angelo, di nome e di fatto, per la sua straordinaria mitezza, somalo anche lui, che badava persino a non calpestare le formiche. Mi ricordo di quella notte in cui, poverino, brillo come d’abitudine, giunse al nostro tavolo di squattrinati, all’osteria “Da Vincenzo”, a fianco del cinema Turreno, chiedendoci una sigaretta, e al nostro no, perché ne eravamo sprovvisti, malauguratamente, si rivolse al tavolo vicino dove stavano bevendo come cosacchi cinque beduini. Non l’avesse mai fatto, l’affronto, lui, negro, di importunare i “superiori” arabi! Uno del gruppo lo afferrò per le braccia, immobilizzandolo, da dietro, e gli altri iniziarono a colpirlo con i boccali di birra e bottiglie di vino in testa e sulla faccia. In un amen l’avevano ridotto ad una maschera di sangue. Un noto picchiatore perugino di quei tempi, Mario, che per l’età avrebbe potuto essere nostro padre (di noi quattro ragazzi che l’accompagnavamo), prontamente si alzò per sedare la vile aggressione, con le buone, davvero, considerato l’enorme divario generazionale. Per tutta risposta, ne ricevette una manata in pieno viso. Che sbaglio! Quanto fummo sgarbati, Signore, con quei beduini e come chiesero scusa ad Angelo, e più degli altri quello che tenevo saldamente immobilizzato per la collottola, fino a farlo inginocchiare di fronte al mio amico somalo!E ci sarebbe dell’altro, ma l’estratto dal mio quanto mai banale vissuto basta ed avanza per giungere alla conclusione che la piena e pacifica convivenza fra culture diverse è un’utopia, e non solo per turbolenti giovani. Chi, come gli euro-dittatori, la vuol imporre a suon di decreti e scomuniche, ha già condotto l’Europa nel baratro dell’imminente confronto fisico, bellico tra popoli distanti anni luce fra di loro per cultura, religione, usi, costumi ed abitudini. Ed anche quello che sta avvenendo negli Stati Uniti d’America, ovvero che il razzismo, da una parte e dall’altra, nera e bianca, è in fase di recrudescenza e non è stato per niente cancellato da secoli di storia in comune, dovrebbe suonare a chi indebitamente ha le nostre sorti in pugno come un terribile campanello d’allarme e far intendere che il presidente Obama, un novello centauro, metà in tutto, nel colore della pelle e forse pure della religione, ha peggiorato lo stato di cose, trascinando il Paese alle soglie di una guerra civile.Il meticciato culturale, o multiculturalismo, poggiato in guisa di un insopportabile giogo sul collo di noi occidentali sta innescando la bomba ad orologeria di un conflitto di proporzioni mondiali. Rimedi e soluzioni, dunque? Alcuna ricetta miracolistica. Soltanto rispolverare i libri di Storia. In primis quelli riguardanti la Serenissima Repubblica di San Marco, nei suoi rapporti con il mondo islamico, con gli Ottomani. E poi, se l’Iran non attaccherà Israele con armi atomiche, se la Russia non farà altrettanto con il redivivo Hitler turco (Erdogan), trascinando il globo intero all’annientamento, visto che abbiamo a che fare con un miliardo abbondante di maomettani, esseri umani simili a noi, la cui maggioranza vorrebbe vivere in pace, e non di formiche da spazzare via con un insetticida, che dobbiamo tenerne conto, e non solo per il petrolio, la traccia da seguire è quella della conoscenza piena dei nostri interlocutori. Dai libri sacri, su cui dicono di poggiare l’esistenza terrena e prepararsi all’aldilà, al particolare della loro vita apparentemente più insignificante (tanto per dire, un musulmano non entrerebbe mai in casa mia, considerato che vi faccio dormire Taz, per loro un essere immondo, come tutti i cani, per me un figlioccio irrinunciabile, invece).Infine, appurato che… leggi di più (testo integrale)
Tratto da: https://leandro283.wordpress.com/2016/07/19/dai-gessetti-agli-sputi-ciao-ciao-multiculturalismo/
Perugia, 20 luglio 2016